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Domenica, 04 Settembre 2011 11:17

Eternity and a day

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"Eternity and a Day", testi e foto di Maura Donati.
Moco era alta, fragile, lievemente inclinata; c'era nel suo portamento (se il contrasto è tollerabile) come una gentile goffaggine, un principio di estasi; ed era fermamente convinta che Borges avesse pensato a lei usando quelle parole.

Non le piaceva scrivere le piaceva leggere non le piaceva parlare preferiva ascoltare, sentire. Le piaceva pensare, pensare alla differenza tra ascoltare e sentire, le piacevano le differenze.

Da ragazzina aveva pensato che sarebbe stato bello vedere senza dover guardare, poi aveva imparato l'importanza dell'osservazione, dell'attenzione, della cura necessaria a percepire quello che la circondava. Ambiente e individui, individui, non riusciva a dire gente, erano tutti così diversi, così uguali, così speciali, quello che l'affascinava era l'esperienza del singolo. Le piaceva leggere testi filosofici che però troppo spesso facevano dell’umano un ente o un concetto. Non le interessavano le gerarchie di valori e le tendenze universalistiche, non credeva nei valori fondamentali, credeva nell’elasticità e nella tolleranza.

Le piaceva fermarsi ai semafori anche quando non erano più rossi per vedere i visi delle persone nelle auto: non avevano quasi mai un espressione contenta o serena…

Le piaceva camminare nel bosco dietro a casa sua, stupirsi delle innumerevoli gradazioni di verde delle foglie, le toccava, erano morbide, raccoglieva un sasso per tenerlo in mano per qualche passo e poi lasciarlo cadere, oppure, copiando i movimenti del suo amico cane faceva fremere le narici per nutrirsi di odori. Ma non era interessata alla natura in quanto tale, la usava per indagare l’uomo. Anche se pensava che esistesse in quanto tale, era convinta che coincidesse con il nostro modo di guardarla.

Da qualche parte aveva letto che il nostro modo di vedere sarebbe stato sconvolto se fossimo riusciti a percepire come cose gli spazi tra le cose. Il filosofo faceva l’esempio di un viale alberato e l’esperimento consisteva nel percepire come cose gli spazi tra gli alberi, la presenza dell’assenza, l’invisibile nel visibile, lei li aveva sempre percepiti e più che sconvolgere la sua percezione delle cose, era semplicemente un modo di guardare in più. Non aveva bisogno di far vacillare realtà consolidate, di cambiare prospettiva, lo faceva continuamente.Quello che le interessava veramente era la qualità del sentire e del pensare, solo quella qualità era in grado di cambiare la vita e le relazioni col mondo.

Le piaceva camminare nel bosco dietro casa sua, ma adesso era su una vibrante bicicletta dalle ruote artigliate, davanti a lei stava pedalando Cadiz. Cadiz era alto, forte, aveva un portamento eretto e generoso. Da poco erano scesi dall’autobus che li aveva portati al passo del Tizi n’Tichka, da lì dovevano essere una sessantina di chilometri in discesa fino a Ait Benhaddou dove pensavano di arrivare verso sera. Era quasi mezzogiorno, la discesa si rivelò un continuo sali e scendi di montagne che sembravano non finire mai. Moco non era particolarmente sportiva ma aveva affrontato la sfida con serietà. Si era detta che quello che per il suo amico Tat era il tiro con l’arco, un’esperienza zen, poteva diventare per lei la bicicletta, ma al posto di divenire un tutt’uno con il mezzo, sentiva un gran male alle spalle e alle braccia, dal momento che la strada era terminata ed il fuori strada era realmente un fuori strada di rocce e sassi che rallentavano il procedere. Non si scoraggiò, si disse che raggiunta la cima della prossima vetta avrebbe intravisto in lontananza le dune sabbiose come recitava la guida, ma intanto vedeva solo montagne. Desiderò scendere dalla bicicletta per abbracciare la terra, le venne in mente che Alioscia, il più giovane dei fratelli Karamazov, l’aveva fatto ma per motivi diversi e non era in bicicletta. Si fecero le sei, nel giro di un quarto d’ora il buio li aveva completamente avvolti, era impossibile procedere, Cadiz aveva visto più in basso alcune case molto rudimentali e decise di bussare alla porta di una di queste per chiedere se nelle vicinanze ci fosse una locanda.

La famiglia di berberi lo accolse a braccia aperte e Cadiz invitò Moco a seguirlo. Il capofamiglia li portò in un locale ampio e completamente disadorno, Moco amava le stanze vuote, c’erano soltanto dei tappeti accatastati negli angoli, il capofamiglia fece un cenno e gli altri posero i tappeti al centro della stanza facendo loro capire che si potevano accomodare. Moco grata, indolenzita e sfinita si mise supina, la coprirono con un altro tappeto e la stanchezza prese il sopravvento sulla miriade di altre sensazioni. Quando si svegliò era notte, aveva sentito un cane e dei passi, uscì nel cortile della kasbah, Cadiz stava guardando il cielo con il figlio maggiore del capofamiglia, le stelle erano molto più luminose, il cielo era vicino, Moco aveva molta sete e quando le diedero un bicchiere d’acqua pensò che c’erano poche cose più belle di bere quando si ha veramente sete. Restarono ancora a lungo nel cortile comunicando a gesti con il giovane uomo. Soltanto al mattino avrebbero conosciuto suo figlio che ogni giorno impiegava due ore per raggiungere a piedi il paese e imparare il francese in una piccola scuola. Insieme a lui una decina di membri della famiglia si erano riuniti nella stanza dove Moco e Cadiz avevano dormito e con l’aiuto del bambino erano state scambiate curiosità.

Moco e Cadiz ripresero le biciclette e dietro a loro si formò un piccolo corteo di bambini. I colori erano cambiati, c’erano tanti tipi di arancioni e di rossi, la terra argillosa ed il verde scintillante delle oasi, persone che lavoravano, donne, non velate come quelle di città. Moco si era abituata alla posizione che il suo corpo doveva assumere in bicicletta e si godeva il viaggio, il tempo splendido. C’era quel sole che veniva riflesso da qualsiasi cosa si guardasse. Arrivarono alla cittadina in cui Pasolini aveva ambientato uno dei suoi film, proseguirono e le strade divennero di nuovo asfaltate. Moco e Cadiz si stavano avvicinando a ciò che era più consueto, ma improvvisamente si ritrovarono catapultati in un universo onirico di insetti carnosi. Erano locuste, erano tantissime, Moco e Cadiz pensarono di essere finiti in Magnolia, un film in cui piovevano rane, orrore incanto e stupore. Orrore incanto e stupore che si trasformarono in desiderio di fuga poiché Moco e Cadiz ora si trovavano in un film di Hitchcock, quello in cui il protagonista deve scappare da un aereo che sparge pesticidi. Moco e Cadiz pedalarono sempre più velocemente.

Moco si mise un fazzoletto intorno alla bocca l’universo onirico di insetti carnosi era diventato un universo reale di morte, i loro corpi erano dappertutto, carnosi, carnali o bidimensionali. Ci furono altri giorni, al crepuscolo di uno di questi Moco e Cadiz si trovarono in una piazzetta, c’erano solo altri due uomini immersi nei loro pensieri, forse anche loro erano degli spettatori. La luce se ne stava andando lentamente, la si poteva sentire sulla pelle e negli occhi, era tiepida e si mescolava con quella di un lampione, calda, gialla, non come quella fredda e azzurra che Moco e Cadiz vedevano nel loro paese. Moco si fermò, il pensare si fece esperienza, tanti anni prima era rimasta affascinata da quello che un filosofo le aveva insegnato: per cogliere l’essenza degli atti mediante i quali la coscienza si rapporta alla realtà, era importante sospendere il giudizio, mettere tutta la conoscenza tra parentesi. “Epoché”, così l’operazione era stata chiamata ma solo quel giorno Moco capì cosa significasse riduzione eidetica, erano essenze, idee quelle che percepiva . Un altro giorno decisero di riprendere l’autobus per un tratto di strada. Erano in ritardo, piovigginava, era difficile orientarsi, raggiunsero la stazione ma sbagliarono entrata, rifiuti ovunque, solo un uomo, solo, leggermente curvo con un berretto bianco,camminava, senza fermarsi con naturalezza. Raccolse da terra una mela marcia e l’addentò.

Moco sente il terreno vacillare, la desolazione e l’impotenza la pervade, come poteva avere risvolti tanto diversi l’essere-gettati-nel-mondo uguale per tutti. Voleva fermarsi, Cadiz le ricordò che dovevano affrettarsi. Dal finestrino dell’autobus rivide quell’uomo, pensò di chiedere al conducente di fermarsi, non lo fece. Si rese conto di aver perso un’occasione, iniziò a riflettere su cosa potesse significare perdere un’occasione. Dal finestrino coperto di condensa e fanwgo, intravide un autobus rovesciato, le persone erano scese, fortunatamente non c’erano feriti gravi, stavano accovacciate nel terreno fangoso con le schiene erette ed una pazienza e dignità ineguali. Il bus procedeva piano, oramai pioveva a dirotto, le tracce delle gocce di pioggia lasciate sui finestrini si mescolavano al fango delle case. Sembrava tutto un’ unica massa di argilla rossa, le casupole si confondevano con le figure umane immobili davanti ad esse. Moco si sentiva sciogliere, il lento procedere del bus, del tempo, lo scroscio dell’acqua, del fiume sul finestrino. Non ci sarebbe stato più un dentro o un fuori se i signori nell’autobus non avessero distolto Moco dal suo sciogliersi con possenti rigurgiti dei loro petti che finivano in fragorosi e succolenti sputi.

Moco si ricordò che uno psicologo - e gli psicologi hanno sempre le spiegazioni pronte- aveva spiegato che lo sputare per gli uomini arabi era un segno di affermazione della loro virilità. Moco si chiese se lo era anche l’urinare ed iniziò ad osservare i segni e gli aloni che sputi e urina avevano lasciato sulla finta pelle dei sedili oramai lacerati. Iniziava a cogliervi una certa grazia ma l’odore acidulo del piscio e quello nauseante della nafta continuavano a distoglierla dalla contemplazione. Si mise a ridere la verità.

Moco era alta, fragile, lievemente inclinata; c’era nel suo portamento (se il contrasto è tollerabile) come una gentile goffaggine, un principio di estasi.

Non le piaceva scrivere, ma il suo maestro le aveva detto che possedeva un dono, decise di non ignorarlo ed iniziò a scrivere con la luce.

Letto 91937 volte Ultima modifica il Domenica, 04 Settembre 2011 17:15

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