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Domenica, 04 Settembre 2011 14:11

Crossing the screen

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Testi e fotografie di Maura Donati.

Quel giorno avevano appuntamento in un cinema, dovevano visionare un cortometraggio di lui dal titolo In un attimo il buio e poi nulla. Lei lo stava aspettando, lui di solito non la faceva mai aspettare. George, il loro amico proiezionista, aveva messo a loro disposizione una sala. Il cinema era vuoto.

Uscendo nel cortile fu investita dalla luce di quel pomeriggio di settembre. Poche ore prima avevano pranzato insieme nel giardino della casa dei suoi. Sua madre le aveva chiesto come stava. Lei ci aveva pensato un attimo, poi le aveva risposto che non si era mai sentita meglio. Di lì a qualche giorno loro due sarebbero partiti insieme per un lungo viaggio. Avrebbero attraversato posti mai visti, grandi distese a sud del pianeta. Il sole scaldava, il calore emanava dall’asfalto. Fuori dal cinema scrutava lo spazio davanti a sé. Ma lui non comparve in sella alla sua motocicletta.Decise allora di rientrare in sala.

Le immagini del corto stavano già scorrendo sullo schermo. Si sedette da sola e, come di consueto, estrasse dalla borsa la macchina fotografica. C’è chi sostiene che la superficie sia la vera dimensione della profondità. Lei si sentiva attratta dagli schermi sin da quando era bambina; le immagini catturate durante le proiezioni le restituivano orizzonti di abitabilità spaesanti. Si aprì una porta. Sentì un moto di gioia voltandosi e credendo di vedere il volto di lui . Non vide che la sagoma di George in controluce. L’irrequietezza la invase. In un attimo il buio e poi il nulla. Fissò intensamente lo schermo, ne distolse lo sguardo. Sapeva che l’origine della parola desiderio ha qualcosa a che fare con lo smettere di guardare le stelle e col sentirne la mancanza.

Decise che sarebbe tornata a casa per ascoltare la segreteria telefonica. In passato, ogni volta che si era sentita felice, l’ammetterlo ad alta voce le aveva procurato una piccola fitta. Premette di nuovo il pulsante di scatto della macchina fotografica. La curiosità e i desideri, sfidando ogni sottostante timore, l’avevano però spinta a ripeterlo una seconda volta. Un salto a occhi chiusi da un estremo all’altro dell’imprevedibilità. Le foto delle immagini negli schermi rivelano sempre discordanze interne. Aperture, ingressi segreti a mondi imperscrutabili, fitte, crateri. In quegli attimi in bilico sulla punta del presente, lampi di libri e frasi appuntate nella memoria attraversarono i suoi pensieri insieme al rumore barcollante della pellicola che si avvolgeva. Ricordò come Proust avesse cercato a lungo di trattenere la sua Albertine- Albert, “l’essere in fuga per eccellenza”. Aveva avuto un bel cercare di prenderlo sulle ginocchia, quel che gli rimaneva alla fine era solo un involucro chiuso; come Benjamin avesse parlato di una sorta di “guaina dell’oggetto”, che ne crea l’impenetrabilità e ne definisce l’irripetibilità. Nell’oscurità cercò di nuovo i tratti di un volto, i confini di un corpo. Amava quell’uomo, quella figura familiare dal portamento forte, eretto e generoso che da molti anni si accompagnava alla sua sottile, fragile, lievemente inclinata. Pensò anche come la repentinità con cui le immagini si danno, nell’attimo in cui riesci a coglierle, diventi talvolta una sensazione di attraversamento istantaneo del vuoto.

Gli ultimi fotogrammi sfuggirono ai confini dello schermo, le si proiettarono sulla pelle. Aveva visto le immagini scucirsi e ricomporsi. Nella temporalità della fotografia in cui passato, presente e futuro si offrono in rimandi reciproci, il destino si allunga in una direzione o nell’altra, ma è inevitabilmente qui. Inevitabilmente qui. In un attimo il buio e poi… Si alzò, sarebbe tornata a casa per ascoltare la segreteria telefonica. Sapeva che quando avrebbe riguardato le foto scattate, persone e cose le si sarebbero mostrate in un loro sottrarsi; senza più definizione di contorni. Restò ancora pochi istanti al buio nel silenzio profondo della sala deserta. Era ancora più buia, più vuota, più fredda, le poltroncine più rosse. Sentì l’attesa farsi prepotente mancanza.

Qualche chilometro più in là, a terra sull’asfalto, il tempo di lui era diventato altro.

Letto 89236 volte Ultima modifica il Domenica, 04 Settembre 2011 17:06

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