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Il corridoio della paura, di Samuel Fuller

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Il corridoio della paura (Shock Corridor) è un film del 1963 scritto, prodotto e diretto da Samuel Fuller.

“Ce l’ho fatta! Sin da bambino volevo diventare un grande giornalista. E questo corridoio mi porterà diritto al Premio Pulitzer. In questo momento, forse, l’assassino è proprio qui, davanti a me.” Il corridoio dove stanno passeggiando alcuni pazienti è quello della Sezione B di un ospedale psichiatrico americano e la voce narrante è quella di Johnny Barret, un ambizioso reporter del Daily Globe disposto a tutto pur di vincere il più prestigioso premio giornalistico americano. Con il sostegno del suo editore e la complicità di uno psichiatra, ha finto di essere un maniaco sessuale e si è fatto internare in una struttura psichiatrica con uno scopo preciso: smascherare il colpevole di un delitto rimasto irrisolto, commesso all’interno del penitenziario stesso, e poi scrivere un articolo sull’esperienza vissuta in prima persona. Barret interroga i tre principali testimoni oculari del delitto: un veterano della guerra di Corea rimasto traumatizzato dall’esperienza bellica, un giovane di colore vittima di episodi di razzismo che ora fa deliranti comizi e uno scienziato nucleare regredito allo stadio mentale di un bambino di 6 anni. Muovendosi con circospezione tra mille difficoltà, Barret riesce a risolvere il caso. L’obiettivo professionale è raggiunto (l’ambito premio Pulitzer si profila all’orizzonte), ma il suo scoop lo ha pagato a caro prezzo, compromettendo forse definitivamente il suo equilibrio mentale: gli viene infatti diagnosticata una forma di “schizofrenia catatonica” che ne determinerà il ricovero a tempo indeterminato nella struttura psichiatrica in cui era entrato da libero giornalista.

Corridoio_della_pauraCome si sarà capito, Barret, mosso da un’ambizione quasi patologica alla quale sacrifica anche la sua vita privata, rappresenta una variante estrema e caricaturale dell’archetipo del giornalista d’inchiesta. Ma ciò che interessa il regista non è tanto descrivere il mondo del giornalismo quanto mostrare attraverso questo personaggio borderline la pericolosità e l’insensatezza di certi comportamenti umani e sociali, nello specifico lo sfrenato desiderio di successo e di carriera, comportamento che il cinema americano ha spesso celebrato in chiave ottimistica, quando non addirittura trionfalistica. Il corridoio della paura mostra invece il rovescio della medaglia, il lato oscuro e problematico dell’arrivismo.

Ma non è tutto: nell’asilo psichiatrico il giornalista entra in contatto con alcuni personaggi emblematici, che permettono al regista di affrontare temi di estrema attualità nell’America a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e inizio degli anni Sessanta, a cominciare dal razzismo: memorabile in questo senso l’episodio del paziente afro-americano vittima di episodi di discriminazione quand’era all’università e che, rinchiuso nell’asilo psichiatrico, crede di essere un bianco a capo del Ku-Klux-Klan: i suoi comizi da folle non sono in realtà molto diversi dai discorsi che si udivano nella società, soprattutto in certi stati del profondo Sud, discorsi veri fatti da persone considerate normali e perfettamente integrate nella società. Come ha acutamente osservato Martin Scorsese, grande ammiratore di questo film e del suo regista, l’asilo psichiatrico in cui si svolge la vicenda è in realtà una trasparente metafora dell’America degli anni Cinquanta e delle sue follie. È questo, e non il giornalismo, il vero tema del film, girato in uno splendido bianco e nero, con alcune sequenze oniriche a colori.

Þ Curiosità.

1) Il film si ispira, seppur lontanamente, a una pagina storica del giornalismo americano: la vicenda di Nelly Bly, una giornalista infiltratasi nel 1887 in una struttura psichiatrica per descrivere le condizioni di vita dei pazienti. Fu uno dei primi casi di “giornalismo mimetico”, basato sull’immersione in un determinato ambiente sociale allo scopo di descriverlo realisticamente dall’interno.

2) Samuel Fuller conosceva molto bene il mondo del giornalismo: a 17 anni, infatti, era entrato nel New York Evening Graphic come vignettista e si affermò presto come redattore di cronaca giudiziaria; questa sua giovanile esperienza a contatto diretto con la realtà influenzerà profondamente il suo cinema, nel quale la rappresentazione della violenza, individuale e collettiva (sono famosi i suoi film di guerra), occupa spesso un ruolo centrale. La chiave stilistica di molti suoi film è proprio quella del reportage giornalistico di cronaca nera: un cinema diretto e senza fronzoli, sintetico e antiretorico, di forte impatto emotivo. Autore ideologicamente difficile da classificare, spirito ribelle e un po’ anarchico, Samuel Fuller è il prototipo del cineasta indipendente americano, perennemente in lotta con lo star system e autore di film personalissimi, molto amati soprattutto in Europa, in particolare dalla critica francese. Tra i suoi principali ammiratori negli Stati Uniti, oltre al già citato Martin Scorsese, troviamo non a caso Quentin Tarantino.

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Trailer de Il corridoio della paura (1963) - Samuel Fuller © YouTube

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