La Grande Guerra coinvolge un numero mai visto prima di soldati. Il conflitto porta con sé una pluralità di esperienze diverse, che si distinguono per posizione gerarchica, armata di appartenenza, tipo di unità, fronte e periodo di combattimento. Questa molteplicità di vissuti di guerra è riportata da varie fonti quali: giornali di trincea, carteggi, romanzi e poemi di soldati-scrittori, artigianato di trincea, disegni e graffiti. L'inutile strage La Prima Guerra Mondiale porta la violenza a un livello altissimo, a tal punto che la statistica fa registrare una vera e propria strage di vite umane. Le armi particolarmente distruttive provocano, oltre a traumi balistici, anche quelli dovuti alle esplosioni. Queste provocano onde di pressione statica che si propaga nel suolo, nell’aria o nell’acqua, causando gravi problemi agli organi contenenti volumi di gas. Altre cause di ferimento sono imputabili a proiettili vaganti, fuoco amico, oppure a lesioni secondarie dovute al sollevamento della vittima dopo l’esplosione. A peggiorare la vulnerabilità fisica e psichica dei soldati è la vita stessa in trincea. L’attività militare, le condizioni climatiche e geografiche, come pure la qualità della logistica, contribuiscono notevolmente. Per rendere l’esercito unito e compatto in modo esemplare, viene adoperata la coercizione, o meglio ancora la presunta coercizione. Quest’ultima ha il pregio che i principi militari, come l’obbedienza e la disciplina, vengono interiorizzati, poiché si teme una misura repressiva. Non di meno, la socializzazione tra i soldati ha un notevole contributo per il loro addestramento. La sopravvivenza del singolo, o dei singoli, dipende dal loro sostegno reciproco, fisico, tecnico o morale che sia. Questa solidarietà nasce anche per il fatto che i reggimenti vengono assemblati mettendo insieme persone provenienti dalla stessa regione geografica. Neppure la gerarchia pone un problema: a differenza degli ufficiali lontani dal fronte, quelli in prima linea sono elogiati perché condividono le vicissitudini della trincea. La coesione dei gruppi militari, che impongono regole e creano legami umani, previene atti di insubordinazione tipici dell’emarginazione. Tale ne è la portata che il recupero dei feriti e la sepoltura dei morti sono obblighi morali nel contesto bellico. Tuttavia questo conflitto porta con sé una novità: mai prima di allora vi era stata una guerra dove le linee del fronte e la popolazione fossero meno distanti. Infatti, nei limiti del possibile, i soldati impiegano il tempo libero per scrivere lettere e riceverle, facendo partecipi i familiari della loro condizione. Il consenso alla guerra è dovuto alla retorica bellica che pone l’accento su una presunta guerra di difesa, non contemplando di per sé il vero senso dell’espressione, poiché chi attacca o è attaccato si difende dall’altro. Il conflitto rende la vittima e il carnefice anonimi, e il potenziale bellico è tale che elimina il confronto personale tra i combattenti. Nonostante vengano adoperate le macchine, in ogni modo, ad uccidere e essere uccisi sono gli uomini, che in quanto tali soffrono a lungo la loro condizione, avendo subito i traumi della guerra. Le renitenze e gli ammutinamenti Le renitenze, ovvero il rifiuto categorico della guerra, sono peculiari della Grande Guerra e presentano diversi motivi, modalità e repressioni. L’esistenza del soldato è tormentata dal dilemma: ”Avanzare e morire, o non avanzare ed essere giustiziato?” Tuttavia questo non è l’unico motivo di insubordinazione. Infatti a Natale del 1914, sul fronte occidentale, durante la tregua, i soldati tedeschi e britannici socializzarono insieme, ponendo in questione simbolicamente il senso della guerra. La forma di insubordinazione meno riprovevole è quella psichica, dovuta ai traumi come lo shell-shock. Essa è causata dalla vita in trincea, tormentata da continui bombardamenti, e inabilita la vittima alla normale esistenza, creando esseri passivi sprovvisti di emozioni e movimento volontario. Le cure assomigliarono più a delle vere e proprie torture che a terapie mirate. Pertanto venne abbracciato il metodo psichiatrico di “confessione” come metodo di sottrazione dallo stato vegetativo dei singoli. Il numero di casi di diserzione è ben maggiore rispetto al numero di pene capitali eseguite. I disertori venivano o esemplarmente uccisi, o impiegati in missioni rischiose. Gli ammutinamenti sono il fenomeno più grave, poiché si tratta di un rifiuto collettivo di partecipare alla guerra che provoca un indebolimento dell’esercito. Due casi contradittori nel 1917 mostrano come possono terminare tali sommosse. Nel caso francese l’esercito ritrovò la forza per combattere; quello russo fu nefasto, perché alimentò le rivoluzioni. La memoria dei morti e la costruzione di monumenti Nel 1914 nessuno era preparato al numero di morti causati dalla guerra: nel 1918 si contavano circa 10 milioni di morti. Interi villaggi si trovarono privi di un’intera generazione, interi stati si trovarono a fronteggiare un numero immenso di orfani, vedove e genitori affranti. Si pone dunque in tempo di pace il problema di come ricordare i caduti. Le rappresentazioni della morte tra il 1914 e il 1920, le pratiche funerarie, l’accompagnamento della morte, l’elaborazione del lutto sono al centro di una riflessione sulla tragica eredità lasciata dalla guerra alle società belligeranti. Per rendere la tensione commemorativa degli anni ’20, bisogna moltiplicare almeno per quattro o cinque il numero di monumenti sorti sulle pubbliche piazze. Ogni morto aveva diritto di avere il proprio nome inciso pubblicamente nel comune di appartenenza, ma anche sul posto di lavoro, a scuola, in parrocchia… Le statue di soldati, numerosissime, fanno tornare in famiglia uomini originari di un luogo, di un affetto famigliare, locale, politico. Se assumono pose coraggiose, addirittura spavalde, è perché sono considerati comunque eroi, anche se hanno perso la guerra. Ritti sul piedistallo, sono votati a continuare in eterno il combattimento esemplare per cui hanno dato la vita. Questi monumenti, tuttavia, sono tombe, tombe vuote. Quasi tutti i paesi coinvolti nella guerra celebrarono le esequie di un combattente non identificato. Questo culto del Milite Ignoto rappresenta la ‘’brutalizzazione’’ della guerra (nella forma della morte anonima di massa), passata alla memoria dei posteri, ed è l’invenzione commemorativa per antonomasia della Grande Guerra: l’anonimato certifica l’eroismo di tutti, permettendo di elaborare il lutto di tutti. La guerra aveva distrutto uomini e famiglie, e la commemorazione doveva farli rivivere. L’inumazione dell’Ignoto, la sua adozione da parte dell’intera nazione rappresentarono la sua e la loro resurrezione. La morte nel periodo antecedente la guerra è un tema da dimenticare, mentre nel periodo post-bellico diventa un obbligo morale ricordarla. La cultura della memoria collettiva si propaga in tutti i paesi belligeranti. Si edificano liste di caduti, ossari con le vestigia anonime, cimiteri di guerra, monumenti allegorici.