La Prima guerra mondiale fu una guerra totale combattuta sui diversi fronti che coinvolse anche le donne, per lo meno indirettamente: non possiamo non ricordare l’esperienza delle operaie nelle fabbriche di munizioni britanniche, vere e proprie Tommy’s sisters. Nasce così una storia tutta “al femminile”. Possiamo affermare che la guerra ha emancipato la donna? Risposte affermative ci vengono soprattutto dal caso francese, dove l’immagine della garçonne degli anni ’20 si è imposta nella memoria collettiva. Ma vi sono anche visioni pessimistiche che considerano la guerra un evento conservatore se non addirittura regressivo, in materia di rapporto tra i sessi. Secondo la proposta della studiosa britannica Siân Reynolds, possiamo definire il periodo tra le due guerre come un periodo di transizione che prelude alle svolte future e che purtroppo ha anche celato importanti cambiamenti nella condizione femminile. La mobilitazione delle donne Durante la guerra ci furono diverse sovrapposizioni tra i due sessi e identità di genere. Gli uomini inizialmente si lanciarono nella guerra fidando in una rapida vittoria e lasciando le donne ad aspettare devotamente presso il focolare domestico. Poco dopo, quando invece il conflitto si arena e gli uomini sprofondano nelle trincee, le donne si mobilitano per far funzionare la macchina della guerra: capifamiglia, addette alle munizioni, autiste di tram e di ambulanze al fronte e persino ausiliare nell'esercito. Nonostante il fatto che la donna sia sempre subordinata all'uomo, i soldati si sentono spodestati o traditi. Dopo gli armistizi gli uomini aspirano ad una restaurazione e a ristabilire la linea di confine tra maschile e femminile. Già durante il conflitto, la similitudine del tipo “infilare proiettili d’obice come perle”, o le descrizioni intenerite delle munitionnettes, un grazioso diminutivo che ricorda le midinettes , cioè le “sartine”, appaiono frutto di strategie linguistiche adottate per affermare l’immutabilità del confine tra i sessi. Le forme sociali e individuali di ricostruzione della virilità sono molteplici: la “brutalizzazione” della vita politica è particolarmente evidente in Germania, dove si assiste a un ripiegamento sul Männerbund; l’utopia rivoluzionaria assume contorni guerreschi che allontanano le donne mentre, quasi ovunque, si afferma il modello patriarcale del male breadwinner, talvolta venato di significati natalisti. Tuttavia, l’ambiguità permane: la virilità espressa nella pietra dei monumenti ai caduti è anche una virilità sofferente, ancora più palese nei gueules cassées e negli altri mutilati. Il “discorso” di guerra è dunque fortemente sessuato: l'uomo-soldato da un lato, le donne e i bambini dall'altro, assimilati alla terra. La donna diventa simbolo della nazione e del focolare domestico, che bisogna difendere. Il “genere” nella guerra è quindi un elemento fondamentale; in uno studio di storia culturale sulla Francia del decennio 1917-27, la storica americana Mary Louise Roberts sostiene la tesi secondo cui la ricostruzione del genere servirebbe a quietare le ansie sessuali e culturali generate dagli sconvolgimenti della guerra; questa logica catartica sarebbe da applicare all’immagine della donna androgina, la garçonne. Non possiamo però dimenticare la violenza che è stata subita sulle donne, dalle deportazioni agli stupri. Ciò porto alla fondazioni di associazioni femministe, soprattutto in Francia, che rivendicavano i crimini sulle donne e appoggiavano lo scontro contro il nemico, come una “causa santa”. Il fenomeno del lutto privato e pubblico Un altro lato oscuro della grande guerra è senza ombra di dubbio il lutto, che diventa la quotidianità per migliaia e migliaia di famiglie, per milioni e milioni di individui. Quando l'informazione della morte di un soldato raggiunge la famiglia tramite la testimonianza spesso di un compagno di guerra, si formano delle comunità di lutto più o meno ampie, all'interno delle quali alcune relazioni sono identificate, come ad esempio la vedova e gli orfani, mentre non esistono parole ad hoc per indicare il padre o la madre. I parenti sopravvissuti ricostruiscono la memoria famigliare intorno al ricordo dei defunti; il culto degli scomparsi diventerà così oggetto di pratiche diffuse. Il lutto è un fatto sia privato che pubblico. Questo passaggio alla sfera pubblica è garantito da un intenso sforzo rappresentativo attraverso cui la sofferenza delle persone in lutto è descritta, idealizzata, esaltata: nel 1917, la Société d’études économiques et sociales pubblica un testo di George Redon dal titolo “Aux enfants qui seront la France de demain”. Il poema “Jour des morts” di Edmond Rostand, apparso sulle pagine de “Le Gaulois” il 2 novembre 1914, contiene questo verso emblematico: “Coloro che sono morti per la Patria hanno veduto l’Arcangelo”. Il caso francese appare eccezionale per il suo carattere di presa in carico delle vittime di guerra, sulla base della legge del “diritto al risarcimento” del 1919. Essa prevedeva il risarcimento delle vittime di guerra come le vedove, gli orfani e gli ascendenti. Un problema che sorse poco dopo riguardò le seconde nozze delle vedove: era giusto che restassero fedeli al ricordo del marito scomparso o dovevano invece rifarsi una famiglia, contribuendo al riequilibrio demografico della nazione? Meglio una donna emancipata che lavora o madre al focolare? Il dilemma non fu sciolto nel periodo tra le due guerre. Il ruolo della guerra nell'emancipazione femminile Un altro tema ampiamente analizzato, in rapporto alla Prima guerra mondiale, è quello della demografia e dei rapporti tra uomo e donna. Il conflitto falcidiò in massa uomini giovani: il 10,5% in Francia e il 15,1% in Germania. La guerra mise una grande parentesi intorno vita di coppia, ma con il ritorno alla pace si assistette ad un immediato aumento delle nascite, dei divorzi e ad un'ondata di matrimoni: infatti solo l'11,2% delle donne appartenenti alle generazioni coinvolte al conflitto erano rimaste nubili a cinquant'anni. La lunga assenza dei soldati aveva lasciato vacanti ampi spazi sociali in cui le donne sostituirono gli uomini, almeno provvisoriamente, mandando avanti l'azienda agricola o il negozio. La munitionnette diventò una figura reale la cui importanza era ben nota all’opinione pubblica, a partire da quando vi fu uno spostamento della manodopera femminile, con l’aumento dell’impiego di donne in settori come quello meccanico. La guerra però avrebbe bloccato piuttosto che accelerato l'evoluzione dei rapporti di genere; infatti i sindacati restavano legati all’ideale del male bread-winner, l’uomo che, con il proprio lavoro, nutre la famiglia, e temevano che l’impiego delle donne facesse scendere i salari. In Inghilterra, a far crescere l’aspirazione a una maggiore indipendenza, autonomia ed eguaglianza tra uomo e donna è la flapper, adepta dei dancing e delle gonne corte. Inoltre non possiamo dimenticare che anche le donne invasero gli atenei scolastici: nel 1930 in Italia le donne erano la metà degli iscritti alla facoltà di lettere.“La garçonne”, libro di Victor Margueritte del 1922, con il favoloso successo e lo scandalo che provocò, illustra sia il desiderio diffuso di costumi più egualitari, sia la forte opposizione che ne derivò. Nel mondo del lavoro, invece, lo sviluppo del terziario e la sua progressiva femminilizzazione erano movimenti di lunga durata di cui la guerra rappresentò solo una fase. È chiaro quindi che sarebbe un'esagerazione considerare tutte queste trasformazioni come dirette conseguenze del conflitto. View the embedded image gallery online at: https://www.liceolugano.ch/19142014/index.php/about-us/donne-e-societa#sigProId99f612559b